"Nel tempo della proibizione non ci sono baccanti in corteo che cantano e danzano, non ci sono fiori ad adornare le vesti ed i tavoli con il cibo in offerta ai viandanti. L’epoca del divieto prevede che l’allegria sia un prodotto specifico, da consumare con prescrizio- ni stabilite, in orari e circostanze ritenute idonee da commissioni di esperti delegati dal potere.
Limitare, circoscrivere, ridurre, contenere e in conclusione, impedire sono i verbi del nostro tempo, ma essi non sono rivolti all’orgia del potere, all’insostenibile abuso del privilegio, sono invece indirizzati soprattutto a chi vuol vivere la vita con i suoi colori, i suoi suoni, i suoi aromi e dunque con il suo sapore autentico.
Spesso queste persone, perseguitate dal conformismo ipocrita delle istituzioni, hanno fatto del vino un simbolo di questo stato d’animo rivendicativo; non solo perché si prova piacere ed euforia a berlo, ma anche perché rappresenta un esempio illuminante dei magnifici giochi che la natura sa esprimere nella sua libera complicità con l’uomo. Per questo non si devono chiudere la cantine, per dare a tutti la pos- sibilità di intendere un altro genere di regole, quelle tutte da inter- pretare per portare l’uva a diventare vino e quelle continuamente da stabilire in difesa della terra madre che per dare amore e libertà, non usa chiedere anche se, tuttavia, non può e non deve farne a meno”.